Effetti delle radiazioni sulla salute

Tratto da www.enea.it

Le radiazioni ionizzanti possono interagire con la materia vivente trasferendo energia alle molecole delle strutture cellulari e sono quindi in grado di danneggiare in maniera temporanea o permanente le funzioni delle cellule stesse.

Tra i diversi componenti cellulari, gli acidi nucleici che contengono l’informazione genetica rappresentano il bersaglio più sensibile.  I danni più gravi derivano pertanto dall’interazione delle radiazioni ionizzanti con il DNA dei cromosomi. I danni al DNA cellulare possono essere prodotti direttamente dalle radiazioni incidenti o indirettamente dalle aggressioni chimiche generate dall’interazione delle radiazioni con le molecole di acqua contenute nei tessuti.

A livello di organismo la gravità del danno dipende dal tipo e dalla dose di radiazione, dalla via di esposizione (irraggiamento esterno, inalazione, ingestione) e dalla sensibilità del tessuto interessato alle radiazioni.

La radiosensibilità di un tessuto, intesa come risposta acuta all’irraggiamento, è direttamente proporzionale all’attività proliferativa delle sue cellule ed è inversamente proporzionale al suo grado di differenziazione. Le popolazioni cellulari più radiosensibili sono pertanto quelle con un elevato indice di proliferazione, come quelle della cute, del midollo osseo e delle gonadi; sono invece definiti radio resistenti i tessuti con cellule che hanno scarsa capacità proliferativa, come il sistema nervoso, i muscoli, i reni ed il fegato.

Un organismo sano è generalmente in grado di rimediare ai danni potenzialmente cancerogeni provocati dalle radiazioni ionizzanti ambientali, sia immediatamente a livello molecolare con la riparazione del DNA danneggiato, sia successivamente attraverso l’eliminazione, da parte del sistema immunitario, di cellule recanti mutazioni genetiche e potenzialmente neoplastiche. Questi meccanismi di difesa e sorveglianza funzionano continuamente nel nostro organismo in condizioni normali. L’abbassamento delle difese immunitarie, un cattivo stile di vita, e altri fattori possono compromettere queste difese naturali e diminuire il livello di sorveglianza, contribuendo allo sviluppo di effetti clinici rilevabili solo dopo anni, i cosiddetti effetti tardivi, rappresentati da un accorciamento dell’aspettativa di vita, da alterazioni quali la fibrosi tardiva da radiazioni, da danni dell’apparato cardiocircolatorio, e soprattutto dall’induzione di tumori.

L’attuale valutazione del rischio di tumori, supportata da accreditati organismi internazionali quali l'ICRP (International Commission on Radiological Protection) e l'UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiations), è basata sull’assunzione di una relazione tra la dose assorbita e lo sviluppo di tumori di tipo lineare, ottenuta estrapolando i dati epidemiologici dei sopravvissuti giapponesi alle esplosioni atomiche e utilizzando fattori di correzione, per i vari tipi di radiazione, basati su studi radiobiologici.

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Alle basse dosi, pertanto, le stime di rischio finora disponibili sono inevitabilmente basate su interpolazioni, approssimazioni ed assunzioni teoriche. Un eventuale approccio epidemiologico richiederebbe, infatti, decine di migliaia di soggetti esposti per documentare un rischio clinicamente significativo per dosi relativamente basse di esposizione.

Il problema del rischio alle basse dosi di radiazioni investe appieno il campo dell’utilizzo delle radiazioni ionizzanti in medicina. Se nella radioterapia per la cura dei tumori la valutazione del rapporto rischio-beneficio è quasi sempre a favore dell’utilizzo, questo non è sempre vero nel campo della diagnostica dove, secondo recenti stime, il 25% degli esami radiologici sono superflui. L’uso sempre crescente della TAC (tomografia assiale computerizzata), un esame che prevede una dose circa 50 volte più alta rispetto a una radiografia convenzionale, viene spesso riproposto e discusso. Le stime del rischio di cancro da esposizioni per motivi diagnostici vanno dallo 0,6% al 3,0% sulla base del numero annuo di esami effettuati nei Paesi sviluppati1. Da questi risultati si evince l’importanza della valutazione del rischio-beneficio delle indagini radiologiche che possono comportare effetti biologici non trascurabili e, allo stato delle conoscenze attuali, più rilevanti di quelli delle istallazioni energetiche nucleari.

Se l’esposizione a fonti naturali di radiazioni (che costituisce l’82% del totale) è di fatto non evitabile, l’esposizione dei lavoratori, e in misura minore del pubblico, a bassi livelli di radiazioni provenienti da produzione di energia nucleare e altri usi industriali e medici delle radiazioni ionizzanti sono diventati parte integrante della società industrializzata. Questi usi sono, comunque, soggetti a regolamenti rigorosi, costantemente rivisti e aggiornati. Gli orientamenti nel campo della radioprotezione seguono di pari passo il progresso della ricerca scientifica in campo radiobiologico con l’obiettivo di evitare qualsiasi sovrastima o sottostima dei rischi da radiazioni, che potrebbero comportare la prima restrizioni non necessarie, la seconda livelli di protezione insufficienti.

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